Per ideali o per convenienza? Una prima analisi sui transfughi del Movimento 5 Stelle

Nelle elezioni politiche del marzo 2018 il Movimento 5 Stelle si impose come primo partito italiano, comquistando quasi 11 milioni di voti, 227 seggi alla Camera dei Deputati, 111 al Senato della Repubblica. Da quella data, grazie alla sua forza in Parlamento e ad una certa “flessibilità” ideologica, il Movimento 5 Stelle è stato sempre al governo (Conte 1, Conte 2, Draghi) in un quadro di allenanze assai mutevoli.

Nel corso degli anni, il gruppo parlamentare alla Camera si era già ristretto considerevolmente, fino a contare 155 componenti alla vigilia della deflagrazione di quest settimana. Il 21 giugno 2022 si è infatti formato il nuovo gruppo “Insieme per il Futuro”, guidato dal ministro ed ex leader dei pentastellati Luigi Di Maio. Ben 50 deputati del Movimento 5 Stelle lo hanno seguito.

Quali le cause della rottura? Di Maio ha giustificato la scissione con una sorta di maturazione politica che lo avrebbe portato:

  1. a un saldo atlantismo in politica estera
  2. lontano dalle vecchie passioni populiste

I critici, sui giornali e tra i deputati rimasti fedeli al Movimento 5 Stelle, hanno accusato i trasfughi di cambiare casacca per provare a salvare la poltrona. Al di là della riduzione del numero di parlamentari che si applicherà dalle prossime elezioni, i M5S ha una regola che fissa il limite di due mandati parlamentari. Molti dei parlamentari pentastellati, quelli eletti nel 2013, raggiungeranno questo limite alla fine della legislatura.

Chi ha ragione? La scissione è giustificata da ragioni ideali o da un calcolo di convenienza? Al di là della polemica politica, non bisogna credere che ci siano risposte che valgono per tutti: probabilmente entrambi i fattori hanno pesato nella scelta. L’analisi politologica potrebbe aiutarci a fare luce con due tipi di studi. Da una parte si potrebbe ricostruire il posizionamento politico dei transfughi per vedere se è molto diverso da quello di chi è rimasto nel Movimento. Dall’altra si potrebbe controllare se tra chi ha seguito Di Maio prevalgano i deputati che per le regole del M5S non sarebbero stati ricandidabili. Questo si può fare velocemente, e i risultati sono abbastanza interessanti.

Ho incrociato le informazioni desunte da dati.camera.it con la composizione del gruppo “Insieme per il Futuro”. La scissione ha interessato poco meno di un terzo del gruppo originario (32,3%). C’è però una differenza abbastanza chiara tra i parlamentari eletti per la prima volta nel 2018 e quelli che erano entrati in Parlamento del 2013. Solo il 27,4% dei neo-eletti ha seguito Di Maio, mentre i deputati al secondo mandato hanno avuto una propensione ben maggiore ad aderire alla scissione (42,9%). Insomma, la questione dell’anzianità parlamentare non spiega tutto, ma sembra spiegare almeno qualcosa.

Tabella 1. Transfughi e Fedeli al M5S tra i deputati al primo e al secondo mandato (percentuali di colonna)

Primo mandatoSecondo mandatoTotale
Fedeli7728105
72,6%57,1%67,7%
Transfughi292150
27,4%42,9%32,3%
Totale106
100%
49
100%
155
100%
Fonte: elaborazione su dati.camera.it e sito della Camera dei Deputati

Da questa tabella possiamo dedurre con certezza che le ragioni opportunistiche abbiano giocato un ruolo rilevante nella scissione? Tecnicamente no. Potrebbe anche essere che i parlamentari con più esperienza abbiano avuto tempo a sufficienza per capire come funzionano le istituzioni e maturare un distacco dall’impianto populista del Movimento originario. Per saperne di più bisognerebbe fare un’analisi delle posizioni politiche espresse dai singoli parlamentari del M5S.

Ma questa è materia per un saggio accademico.

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