Qualche riflessione sulla Brexit

Proprio ieri, scrivendo che con il mio cuore tifava Remain, ammettevo che la mia ragione fosse invece combattuta. Condivido molte delle preoccupazioni avanzate dall’Economist, la Brexit farà male alla Gran Bretagna e rischia di far esplodere le contraddizioni dell’integrazione europea.
Secondo me da questa crisi si uscirà soltanto in due modi, molto diversi: con il compimento dell’integrazione politica oppure con la dissoluzione dell’UE. Anni di collaborazione alle ricerche sulle élite politiche nazionali coordinate dal team di politologi dell’Università di Siena mi hanno fatto maturare la convinzione che oltremanica si sarebbero sempre opposti a un’integrazione politica più piena. Questo naturalmente può essere visto come un bene o come un male, a seconda delle preferenze di ognuno. Ma comunque la si pensi, la scelta per certi versi tragica degli elettori britannici apre un’opportunità.
Il grafico che riporto qua sotto viene da un sondaggio condotto nel lontano 2009 (prima della crisi quindi) sui parlamentari nazionali di vari stati membri. I risultati di quella ricerca sono stati pubblicati ormai su molti libri e saggi, tra cui questo che ho scritto con Maurizio Cotta. A seconda di molteplici domande rivolte a ogni intervistato, individuammo quattro “tipi” di parlamentare: gli Euro-entusiasti, gli Europeisti moderati, gli Euro-opportunisti e gli Euro-scettici. Nel grafico riporto la percentuale di Euro-scettici per paese. Non vi pare che ci sia un paese che si distacca un po’ troppo dagli altri?

brexit

P.S. Ricerche più recenti segnalano che anche l’Ungheria si è spostata molto verso l’estremo Euro-scettico in questi ultimi anni.

Governo spagnolo, non è solo questione di addizioni

Gli inglesi lo chiamano hung parliament, con un’espressione idiomatica che non ha facili traduzioni. Potremmo dire che è un parlamento in bilico, anche se la tentazione di pensare a un parlamento “impiccato” fa di tanto in tanto capolino anche nelle vignette anglosassoni. L’espressione designa un parlamento senza una chiara maggioranza, come quello spagnolo dopo le ultime elezioni, dove è difficile immaginare come farà a nascere un governo. Per capirci qualcosa di più, andando oltre alle schermaglie tattiche adottate dagli stessi partiti spagnoli nel dopo voto, bisogna guardare a tre cose: le regole di investitura del governo, i numeri del congresso, le teorie sulla nascita dei governi di coalizione.

Il parlamento spagnolo (Las Cortes Generales) è bicamerale, ma a differenza di quanto accade in Italia il governo ha una rapporto di fiducia solo con la camera bassa, il Congreso de los Diputados. Dal secondo scrutinio il voto avviene a maggioranza semplice: tra chi vota, i sì devono essere più dei no. L’astensione è irrilevante, e può essere usata dai partiti che non vogliono tollerare la nascita di un governo di minoranza pur senza appoggiarlo esplicitamente.

23_12_2015 Continua a leggere Governo spagnolo, non è solo questione di addizioni