Benetti Livorno Half Marathon 2022

La scorsa stagione era stata in chiaroscuro. L’obiettivo di correre la mia prima maratona era andato così così (Maratona di Pisa finita in piedi, ma lentamente e tra i dolori), però era soddisfatto di essere finalmente riuscito a correre la mezza sotto i 100 minuti. Pisa Half Marathon in 1:38 e spiccioli in autunno, Lucca Half Marathon in 1:37:40 in primavera. A dire il vero, la gara clou della mia scorsa primavera avrebbe dovuto essere la XVII Puccini Half Marathon, annullata all’ultimo secondo per ragioni che non ho ancora capito. Al tempo, per non buttare via la preparazione, mi ero sparato i 10km a tutta correndo con Luisa in pattini a farmi da lepre, e andando sotto i 43 minuti. Interessante, mi dico, perché in proiezione quel tempo equivale a un 1:35:00 in mezza maratona…trovato l’obiettivo per la prossima stagione.

Quest’anno invece di affidarmi a tabelle preconfezionate o a qualche app ho deciso di comprare un classico, il libro “You (Only Faster)” di Greg McMillan, un reputato allenatore statunitense. Il libro è interessante, perché accenna ai meccanismi fisiologici stimolati dai principali mezzi di allenamento presenti in tutte le tabelle (fondo, medio, ripetute, sprint…) ma sopratutto spiega come prendere una tabella e adattarla alle proprie caratteristiche.

La corsa non è lo sport per chi ama le gratificazioni immediate. Ed io, per personalità e deformazione professionale, traggo la più grande soddisfazione nel formulare obiettivi realistici, pianificare gli allenamenti, ricercare la costanza. Insomma, a giugno scorso mi stampo una tabella personalizzata con sopra scritto un obiettivo: 1:35:00. E un appuntamento: 13 novembre, Livorno. E poi giù chilometri, ripetute in salita, lunghi, progressivi, e soprattutto sessioni di divinazione dei dati registrati dal mio Garmin. Sarò in linea con l’obiettivo? Forse no, e allora imposto un obiettivo più cauto, 1:36:00.

A Livorno ho trovato la giornata ideale. E che la fortuna fosse dalla mia parte l’ho intuito 15 minuti prima della partenza. A forza di bere per rimanere idratato, beh, avevo bisogno di passare dai bagni chimici per un’ultima sosta… 20 persone in fila su tre bagni. Non ce la farò mai. Mi dicono che ce n’è un altro nel grande parcheggio. Fila anche qua, che non scorre. Corro ai bagni che avevo visto dentro il campo sportivo: 30 persone in fila. E ormai 10 minuti alla partenza. Oddio, come si fa? Mi ricordo di aver visto degli spogliatoi, vicini al deposito borse, e mi ci fiondo: bagni numerosi, e deserti!

Corro alla partenza, così faccio pure riscaldamento. Alle 9.05 si parte, con la banda a incoraggiarci. Folla da driblare. Mantengo il passo giusto, ma i battiti si impennano. Che fare? O la va o la spacca, oggi corro sul tempo e non sul cardiofrequenzimentro. Ci sono un po’ di saliscendi, ma mi avevano avvertito e non mi faccio prendere dal panico. Il percorso si snoda attraverso i cantieri Benetti e passa dentro l’Accademia, dove la banda suona motivetti festosi. Al km 12 cominicia a farmi male un piede, maledette scarpe con la piastra. Non sono roba da vecchietti lenti come me. Ogni passo mi sembra di pestare un sasso, ma sono perfettamente in linea con i tempi, non mi posso certo fermare a sistemare il calzino.

Gli ultimi due chilometri, in falsopiano, sono durissimi. Ma mi accorgo di essere più veloce del previsto. L’arrivo è suggestivo, con giro della pista d’atletica. Trovo la forza di accelerare. Il tempo ufficiale è 1:35:13, il real time è 1:34:38. Ed io, smarrendo il senso della misura, alzo le mani che neanche avessi vinto il titolo europeo…

La Maratona di Pisa

Zoppicando vistosamente, con passi corti e asimmetrici, mi affianca al km 38. “Non ne ho più” sussurra. Sollevo la testa per guardarlo, lo squadro con attenzione. Avrà 50 anni, forse un po’ meno, accento meridionale, tenuta completa di una società sportiva. E’ venuto apposta a Pisa per correre la maratona, non è andata bene. Io mi sto trascinando per gli ultimi chilometri ancora più lento di lui e glielo faccio notare: “a chi lo dici, sono pieno di dolori”. “Alle volte mi chiedo, ma chi ce lo fa fare?” sbuffa frustrato, e lentamente mi distanzia. I miei pensieri sono interrotti da un crampo violento, al flessore sinistro: mi devo fermare per fare un po’ di allungamenti, e mentre ci provo un altro crampo, stavolta al quadricipite, mi fa imprecare. I pacer delle 4 ore mi superano cantando, ma sono ormai soli, non c’è più traccia di quel grande gruppo che avevo superato al decimo chilometro. Vanno ormai a una velocità che mi sembra degna di atleti olimpici.

Come sono arrivato così mal messo gli ultimi 3 km?

Sapevo di non essere pronto. Dopo la Pisa Half Marathon di ottobre, corsa in grande spolvero, non ero più riuscito a tenere il minimo sindacale di 3 allenamenti a settimana. Ad aggravare la situazione, una brutta caduta a metà novembre mi aveva tenuto completamente fermo per 15 giorni. Avrei dovuto rinunciare alla mia prima maratona? La situazione con il tempo era lentamente migliorata, ed ero riuscito a correre una volta i 35km, sia pure alternando corsa e cammino (alla Jeff Galloway, per dire). Va be’, ci provo.

Avevo impostato una strategia prudente. Correre i primi 21 senza guardare il tempo, tenendo bassi i battiti cardiaci.  Bere poco e di frequente. Mangiare. Così ha funzionato fino al km 28, correndo sui 5:25. Venti secondi più lento del mio limite teorico (e del tempo che ha tenuto fino alle fine il mio compagno di corse Alessandro, chiudendo in 3 ore e 32: bravo!). Ad ogni km pensavo “so far, so good” conscio però di essere come quel signore della nota barzelletta, che mentre cade dal cinquantesimo piano si ripete: “fino a qui, tutto bene”. I primi segni di cedimento li avverto entrando a Marina di Pisa: le ginocchia cominciavano a far male. Adotto, forse troppo tardi, il metodo Galloway: ogni 5 minuti di corsa 30 secondi di camminata a passo svelto. Chissà se così me la cavo. Mentre imbocchiamo il viale di Marina, coriamo accanto a decine di macchine in fila in direzione opposta alla nostra, con motori accessi e clacson isterici perché il traffico era bloccato. Quando soffri avresti bisogno di qualcuno che ti aiuti, non di chi ti urla contro. Lo addebito mentalmente all’organizzazione.

Riesco a mantenere un ritmo decente, sia pure alternando corsa e cammino e facendo l’elastico con i miei compagni di corsa, fino al ristoro del  km 35. Un anziano signore mi passa il bicchiere di acqua e grida “dai che mancano solo 7 km!”. “Hai detto 100 metri”. Non riesco a trattenere la risposta, un po’ acida. Mentre riparto succede l’irreparabile. Mi prende un dolore acutissimo alle piante dei piedi, tutte e due. Ogni appoggio una coltellata. Forse il dolore alle ginocchia mi aveva fatto ciabattare troppo, forse avevo stretto troppo le scarpe, chissà. Come arrivo al traguardo ora?

Lento e sofferente, mi apro la strada fino ad entrare in città. Non è più corsa questa, non posso spingere. Il volto è contratto in una smorfia di dolore, permanente. Tutti mi sorpassano. Ma finalmente trovo persone sul ciglio della strada che mi incitano. Mi danno forza, se non forza almeno determinazione. Li ringrazio dal profondo del cuore. Ultima curva, sono in piazza del duomo. Pieno di gente, un boato, vedo volti amici all’arrivo e alle transenne. Mi viene da piangere, maledizione, impreco e gioisco. Il tempo finale è attorno alle 4 ore e 7, ma è un dettaglio. Ce l’ho fatta ad arrivare in fondo.

Ma tornerò: per correrla davvero.

Pisa Half Marathon 2021

Le cose migliori capitano mentre stai pensando ad altro.

Da un paio di anni davo la caccia a un tempo sotto i 100 minuti in mezza maratona. Niente di eccezionale ovviamente, si tratta di una prestazione “media” per i podisti amatori. Ma per me si trattava di un obiettivo ambizioso. L’idea mi era venuta dopo aver sfiorato quel tempo a Lucca nel 2019, in una gara corsa sotto il diluvio. E per ben due volte ero scoppiato nel tentativo di farcela, sempre attorno al quindicesimo chilometro.

Stavolta però il mio obiettivo era diverso, correre per la prima volta i 42km, in occasione della Maratona di Pisa del 19 dicembre. E la Pisa Half Marathon doveva essere solo una tappa della preparazione. Non lo nego però: gli allenamenti stavano procedendo così bene che un pensierino al sub-100 ce l’avevo fatto, tanto da aver chiesto ai miei suoceri di recuperare le Boston, le mie scarpe più veloci (non hanno fatto in tempo. Con il senno di poi, meglio così. Ho corso con le Ultraboost PB, ben più comode).

Anche quest’anno la manifestazione è stata organizzata in modo impeccabile, con il rispetto di tutte le norme Anti-Covid. La partenza a ondate non toglie nulla all’emozione dello start. E come sempre al “pronti, via!” sento quella emozione per essere lì, in mezzo a tante persone sorridenti ed entusiaste, pronte a sfidare i propri limiti.

Parto insieme ad Alessandro, consueto compagno di corse, e ci aiutiamo a vicenda a non strafare ripetendoci che “non si può vincere una gara nei primi 5km, ma si può perderla”. La nostra strategia è partire poco sopra i 4:50, e finire in progressione per centrare il tempo di 1:39:00. I primi km se ne vanno in scioltezza. Verso il decimo mi accorgo che, nonostante sia una ventina di secondi sotto alla tabella di marcia, il mio cuore gira basso come non mai. Lì ho la consapevolezza di potercela fare, sono in forma. Alessandro ha un po’ di mal di stomaco, lo aiuto a rimanere concentrato. Piccolo brivido dopo la chiesa della Spina, dove una vigilessa, intenta a litigare con un automobilista, non ci segnala la strada giusta, e ci condanna a una piccola deviazione involontaria. Non la prendiamo bene ($%&%!!) ma ci diciamo che avremmo perso appena una decina di secondi. Al km 19, ormai vicini all’ultimo tratto di lungarno, decido di partire in progressione per centrare il miglior tempo possibile. Km 20 in 4:17, km 21 in 4:07. Arrivo in Piazza dei Miracoli, sorrido e sprinto con un giovinastro che mi svernicia, nonostante una accelerazione decorosa che fa segnare 3:26 al mio Garmin.

Tempo finale 1:38 e spiccioli, personale battuto di quasi 3 minuti, la consapevolezza che ho grossomodo raggiunto la velocità scritta nel mio corredo genetico. Se non si può andare più veloce, si può però andare più lontano…