Flussi elettorali a Pisa (2022)

Per capire come sono andate le elezioni bisogna sempre guardare ai numeri assoluti, e fare i confronti con le analoghe elezioni precedenti. Il termine di paragone naturale per capire come sono andate le elezioni del 2022 sono le elezioni politiche del 2018. Come nel resto di Italia, anche nel comune di Pisa c’è stata una diminuzione dell’affluenza (-4513 voti validi), per cui ragionare solo con le percentuali maschera il fatto che molti partiti abbiano in realtà perso voti.

Possiamo raggrupare le forze politiche 2022 in quattro schieramenti:

  1. Centrosinistra. Anche nel 2022 è l’area prevalente, avendo incassato comlessivamente 19166 voti. Le forze che ne fanno parte hanno però perso 547 voti rispetto al 2018, con il Partito Democratico unica lista che vede un bilancio positivo (+875) e tutti gli altri che perdono qualcosa.
  2. Centrodestra. Questa area si conferma al secondo posto con 14412 voti, 1090 in meno del 2018. Lega e Forza Italia perdono migliaia di voti, non totalmente compensati dalla enorme crescita di Fratelli d’Italia (+7319)
  3. Il Movimento Stelle prende meno della metà dei voti del 2018, rimanendo però la terza forza.
  4. Azione e Italia Viva, che nel 2018 non c’erano, prendono 3541 voti, affermandosi come quarto polo.

Figura 1. Risultati elezioni politiche nel comune di Pisa 2018-2022 (Camera dei Deputati)

Fonte: Comune di Pisa e Ministero del’Interno

Il confronto tra i voti raccolti nel 2018 e nel 2022 fa solo ipotizzare i possibili travasi di voti da una elezione all’altra. Esistono invece delle tecniche che provano a stimare i flussi elettorali in entrata e in uscita dai vari partiti. Non entro nei dettagli, ma le analisi che seguono si basano su un modello analogo a quello utilizzato dai ricercatori dell’Istituto Cattaneo, con tutti i vantaggi e i limiti che loro stessi riportano. In pratica, ci vuole cautela nel commentare flussi elettorali che riguardano piccole quote dell’elettorato, ma il modello dà una buona idea delle tendenze più rilevanti.

Tra il 2018 e il 2022 la politica italiana è cambiata radicalmente. Dal Partito Democratico sono usciti Renzi e Calenda, il Movimento 5 Stelle ha cambiato molte pelli, Fratelli d’Italia ha moltiplicato i suoi consensi. Il grafico che segue (figura 1) riporta i flussi in uscita dai vari partiti del 2018, ovvero scompone l’elettorato dei partiti del 2018 per le scelte di voto fatte nel 2022.

Figura 1

Il primo elemento degno di nota è che la maggior parte degli elettori che nel 2018 avevano dato fiducia a Partito Democratico, ai suoi alleati minori o a Leu rimangono all’interno della stessa area politica. Prevale la stabilità. Ci sono però travasi significativi tra i vari partiti, a suggerire che gli elettori di centrosinsitra non sono fedeli a un unico partito ma puttosto a un più largo campo di riferimento. La principale eccezione è un’emorragia dal PD e dagli “altri del csx” verso la coalizione tra Calenda e Renzi.

I vecchi elettori del Movimento 5 Stelle sono stati scarsamente fedeli. Nel 2022 molti sis sono astenuti, altri hanno riconfermato il loro voto, un gruppo di qualche significatività ha dato fiducia al PD. Pochi si sono buttati a destra destra.

A destra la situazione è più chiara. Gli elettori di Lega e Forza Italia vengono attratti irresistibilemnte verso Fratelli d’Italia ma una quota non indifferente sceglie l’astensione: questo spiega la flessione complessiva dell’area politica.

Figura 2

La figura 2 scompone l’elettorato dei partiti attuali a seconda delle loro scelte di voto nel 2018. I partiti di centrosinistra sono abbastanza indistinguibili tra loro, se si eccettua la capacità del solo PD di recuperare qualche vecchio elettore del Movimento 5 stelle e quella degli altri di recuperare qualcosa al voto di protesta e all’astensione.

Il Movimento 5 Stelle del 2022 è una versione ridotta di quello del 2018, non riesce ad attrarre voti diversi (a parte un certo recupero sugli astenuti) ma si regge su uno zoccolo duro che non è certo irrilevante.

Fratelli di Italia fa il pieno di elettori “nuovi”, che in misura preponderante erano già elettori di area (Lega o Forza Italia). Solo la Lega pesca un po’ da fuori, presumibilmente ex elettori del Movimento 5 Stelle che già nelle elezioni europee del 2019 erano transitati nel partito di Salvini.

Azione-Italia viva non sottraggono nulla destra, ma soltanto a sinistra: se l’obiettivo era quella di convincere i delusi dall’estremizzazione della coalizione guidata da Giorgia Meloni, la missione è fallita. Più semplicemente Calenda e Renzi sono usciti dal PD, e hanno portato con loro gli elettori più moderati/liberali.

Per ideali o per convenienza? Una prima analisi sui transfughi del Movimento 5 Stelle

Nelle elezioni politiche del marzo 2018 il Movimento 5 Stelle si impose come primo partito italiano, comquistando quasi 11 milioni di voti, 227 seggi alla Camera dei Deputati, 111 al Senato della Repubblica. Da quella data, grazie alla sua forza in Parlamento e ad una certa “flessibilità” ideologica, il Movimento 5 Stelle è stato sempre al governo (Conte 1, Conte 2, Draghi) in un quadro di allenanze assai mutevoli.

Nel corso degli anni, il gruppo parlamentare alla Camera si era già ristretto considerevolmente, fino a contare 155 componenti alla vigilia della deflagrazione di quest settimana. Il 21 giugno 2022 si è infatti formato il nuovo gruppo “Insieme per il Futuro”, guidato dal ministro ed ex leader dei pentastellati Luigi Di Maio. Ben 50 deputati del Movimento 5 Stelle lo hanno seguito.

Quali le cause della rottura? Di Maio ha giustificato la scissione con una sorta di maturazione politica che lo avrebbe portato:

  1. a un saldo atlantismo in politica estera
  2. lontano dalle vecchie passioni populiste

I critici, sui giornali e tra i deputati rimasti fedeli al Movimento 5 Stelle, hanno accusato i trasfughi di cambiare casacca per provare a salvare la poltrona. Al di là della riduzione del numero di parlamentari che si applicherà dalle prossime elezioni, i M5S ha una regola che fissa il limite di due mandati parlamentari. Molti dei parlamentari pentastellati, quelli eletti nel 2013, raggiungeranno questo limite alla fine della legislatura.

Chi ha ragione? La scissione è giustificata da ragioni ideali o da un calcolo di convenienza? Al di là della polemica politica, non bisogna credere che ci siano risposte che valgono per tutti: probabilmente entrambi i fattori hanno pesato nella scelta. L’analisi politologica potrebbe aiutarci a fare luce con due tipi di studi. Da una parte si potrebbe ricostruire il posizionamento politico dei transfughi per vedere se è molto diverso da quello di chi è rimasto nel Movimento. Dall’altra si potrebbe controllare se tra chi ha seguito Di Maio prevalgano i deputati che per le regole del M5S non sarebbero stati ricandidabili. Questo si può fare velocemente, e i risultati sono abbastanza interessanti.

Ho incrociato le informazioni desunte da dati.camera.it con la composizione del gruppo “Insieme per il Futuro”. La scissione ha interessato poco meno di un terzo del gruppo originario (32,3%). C’è però una differenza abbastanza chiara tra i parlamentari eletti per la prima volta nel 2018 e quelli che erano entrati in Parlamento del 2013. Solo il 27,4% dei neo-eletti ha seguito Di Maio, mentre i deputati al secondo mandato hanno avuto una propensione ben maggiore ad aderire alla scissione (42,9%). Insomma, la questione dell’anzianità parlamentare non spiega tutto, ma sembra spiegare almeno qualcosa.

Tabella 1. Transfughi e Fedeli al M5S tra i deputati al primo e al secondo mandato (percentuali di colonna)

Primo mandatoSecondo mandatoTotale
Fedeli7728105
72,6%57,1%67,7%
Transfughi292150
27,4%42,9%32,3%
Totale106
100%
49
100%
155
100%
Fonte: elaborazione su dati.camera.it e sito della Camera dei Deputati

Da questa tabella possiamo dedurre con certezza che le ragioni opportunistiche abbiano giocato un ruolo rilevante nella scissione? Tecnicamente no. Potrebbe anche essere che i parlamentari con più esperienza abbiano avuto tempo a sufficienza per capire come funzionano le istituzioni e maturare un distacco dall’impianto populista del Movimento originario. Per saperne di più bisognerebbe fare un’analisi delle posizioni politiche espresse dai singoli parlamentari del M5S.

Ma questa è materia per un saggio accademico.

E’ opportuno dedicare una piazza a Sergio Ramelli? Qualche riflessione a partire dal caso di Lecce

L’omicidio di Sergio Ramelli: i fatti

Sergio Ramelli era un giovane militante del Fronte Nazionale della Gioventù, l’organizzazione Giovanile del Movimento Sociale Italiano. Entrò nel mirino dell’estremismo di sinistra a causa di un tema scolastico in cui aveva espresso le proprie idee e condannato le Brigate Rosse. Il 13 marzo 1975, quando aveva solo 19 anni, fu vittima di un agguato; aggredito a colpi di spranga, morì qualche settimana dopo a causa delle ferite infertegli. Il suo omicidio si inserisce nel contesto di violenza politica che prende il nome di anni di piombo.

Il processo fu celebrato circa dieci anni dopo l’assassinio a seguito delle rivelazioni di alcuni pentiti dell’organizzazione Prima Linea, che chiamarono in causa il servizio d’ordine di Avanguardia operaia per l’omicidio Ramelli. La sentenza di primo grado inflisse condanne a otto dei dieci accusati, che all’epoca dei fatti componevano il servizio d’ordine di Avanguardia operaia che operava nella facoltà di medicina: i due autori materiali del pestaggio, riconosciuto come omicidio preterintenzionale, furono condannati a 15 anni. Il processo di appello si concluse due anni più tardi, nel 1989, confermando le condanne ma riqualificando il reato come omicidio volontario. La giustizia italiana ha riconosciuto che Sergio Ramelli è stato vittima di un gesto criminale, vittima di assassini mossi da un’ideologia eversiva, ed ha condannato i colpevoli.

È opportuno intitolare una piazza a Sergio Ramelli? Il caso di Lecce.

Facciamo un salto di oltre 30 anni dalla sentenza definitiva, oltre 45 dai fatti. Il Consiglio Comunale di Lecce ha proposto alla commissione toponomastica di intitolare una piazza o una via a Sergio Ramelli, aggiungendo alla dedica una coda ecumenica “E a tutte le vittime di violenza politica”. Non mi voglio concentrare qui sul processo che ha portato alla proposta per affrontare direttamente il tema centrale. È giusto e opportuno dedicare un luogo pubblico alla memoria di Sergio Ramelli? Il consiglio didattico dei corsi di Scienze Politiche dell’Università del Salento pensa di no, e ha elaborato un documento per chiedere al Comune di rivalutare la decisione. Ne è seguita una piccola polemica, un po’ confusa.

La discussione deve svolgersi sul giusto piano. L’intitolazione di un luogo pubblico a una persona, così come la costruzione di un monumento, sono atti squisitamente politici. Creano simboli pubblici, destinati a costruire e alimentare la memoria collettiva. Non si tratta di atti tesi a fare giustizia; per quello esistono i processi. Né si tratta di provare ed esprimere umana pietà, che ritengo doverosa, ma che rientra nel campo della sensibilità individuale. Questa premessa serve a sgombrare il campo da due argomentazioni che a prima vista sembrano convincenti, ma che sono in realtà fuorvianti, e su cui tornerò dopo.

Di cosa si discute davvero. Non di Ramelli, ma della pregiudiziale antifascista e dell’elaborazione di una memoria condivisa.

Sergio Ramelli era un giovane militante del Fronte Nazionale della Gioventù, organizzazione giovanile dell’MSI. Non si è macchiato di alcuna violenza. È ricordato come vittima della violenza della sinistra extraparlamentare negli anni di piombo. Quale messaggio politico culturale si trasmette intitolandogli un luogo pubblico? Quali processi si alimentano?

Lo dico in modo brutale: c’è il rischio concreto che oltre alla stigmatizzazione doverosa della violenza politica si renda omaggio alla cultura neo-fascista. Che la si banalizzi, la si metta sullo stesso piano delle altre, quando il suo rifiuto è alla base delle regole del nostro vivere comune.

Cosa sia stato il fascismo in Italia, non lo devo spiegare. La nostra Costituzione democratica fu scritta da forze molto diverse, unite però dal comune impegno nella lotta di liberazione. Il Movimento Sociale Italiano fu fondato da ex aderenti alla Repubblica di Salò, ed è stato a lungo un movimento chiaramente neo-fascista e contrario alla democrazia. Basti pensare che addirittura nel 1973 la Camera dei Deputati, su domanda del Procuratore generale della Repubblica di Milano, concesse l’autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante per il suo tentativo di ricostituire il partito fascista, sulla base di fatti risalenti agli anni 1969, 1970 e 1971. La sua parabola ideologica è stata lunga e articolata, ma la condanna del fascismo e dei suoi crimini è arrivata, non senza lacerazioni interne, solo con la trasformazione dell’MSI in Alleanza Nazionale. Dedicando un luogo alla memoria di Ramelli si celebra solo la condanna della violenza politica, si rende giustizia a una vittima innocente, oppure si tenta di riabilitare anche l’ideologia politica che professava? Un indizio per rispondere a questa domanda lo danno le manifestazioni neo-fasciste che si tengono ogni anno nel luogo dell’assassinio. Ancor più significative però sono le dichiarazioni di alcuni politici di primo paino, come l’europarlamentare Susanna Ceccardi, che oggi negano la rilevanza della memoria antifascista. È in corso un tentativo di banalizzare l’antifascismo, di rimuoverlo come fondamento condiviso della nostra Repubblica. Questo tentativo va respinto in modo fermo, perché il fascismo è un’ideologia autoritaria e violenta. Da studiosi ne possiamo comprendere le origini. Da democratici dobbiamo condannarla senza appello.

Nessun odio per Ramelli

Giorgia Meloni, intervenuta sulle colonne de “Il Giornale”, accusa il consiglio didattico dei corsi politologici di Unisalento di esercitare una forma di violenza politica, per aver chiesto al Comune di Lecce di non procedere con la sua iniziativa. Il titolo dell’articolo parla di “Odio rosso e infinito contro Ramelli”. Affiora qui l’incapacità di scindere tra persona e atto, un fenomeno che purtroppo, come sottolineato recentemente da Martha Nussbaum, è tipico di gran parte del dibattito politico e sociale contemporaneo. Ramelli fu vittima innocente di un crimine orribile, che ha avuto doverosa giustizia nell’aula di un tribunale della Repubblica italiana. L’ideologia a cui si ispirava il movimento politico in cui militava è aliena alla democrazia. L’umana pietà è un sentimento naturale quando si ripercorre la sua vicenda. Ma il piano su cui di discute è un altro, e dedicargli oggi una piazza significa usare il suo nome per un fine pericoloso.

Parlamento e Parlamentari [Intervento a Database, GR Parlamento]

Cosa fanno i parlamentari, perché gli italiani non hanno fiducia in loro, e cosa accadrà tagliandone il numero? Ne ho parlato a Database, la trasmissione di GR Parlamento, condotta da Carlo Albertazzi con Elisabetta De Giorgi.

[Cercate la puntata del 13/03/2020 – PARLAMENTO E PARLAMENTARI]

Video intervento – Dal sogno di Ventotene all’elogio dei sovranismi (parte 1)

Lunedì 25 Febbraio sarò ospite del primo appuntamento di “L’EUROPA, IO…E NOI”, un ciclo di incontri in preparazione alle elezioni europee organizzate dal centro studi iCapuccini insieme a una fitta rete di associazioni.

Mi hano chiesto di fare una ricostruzione storica e politologica tenedomi nei limiti dei 20 minuti. Impresa ardua, perché meno spazio si ha a disposizione più bisogna lavorare per capire cosa dire.

Ho deciso di dividere l’intervento in 4 pillole da 5 minuti.

Parte 1: Quando è perché tutto è iniziato?
Parte 2: Una storia di accelerazioni e frenate
Parte 3: L’assetto istituzionale e le competenze dell’UE
Parte 4: L’era dell’euroscetticismo? Fallimento del trattato Costituzionale e doppia crisi.

Qui il primo video, che sarà più o meno l’apertura del mio intervento di lunedì.

 

Approfondimenti

  1. Il Manifesto di Ventotene (testo originale)
  2. La dichiarazione Schuman (testo in italiano)
  3. La guerra fredda e il mondo bipolare (Treccani)
  4. Articolo di Teresa Castro sulla CED (Itinerari di ricerca storica)